martedì 17 dicembre 2013

Un Dente Alla Volta

Vado dal dentista. Una di quelle cose da grandi che si devono fare per forza anche se non ne hai voglia. Da piccolo è diverso, da piccolo mica lo decidi tu che devi andarci dal dentista. Da piccolo ti obbligano. È tutto diverso quando arriva il momento in cui invece lo decidi. Tutto diverso.

Comunque. Vado dal dentista perché sono tipo due anni che non lo faccio e quando mi lavo i denti mi fanno male quelli in alto a destra. Non proprio male, sento un brivido. Ogni volta che mi siedo su quella poltrona, con l'assistente che mette l'acqua azzurra dentro il bicchiere e il dottore che arriva lì vicino con la sua casacca verde scuro e mi chiede come va, io mi metto l'anima in pace. Sarà una cosa lunga. Lunga e dolorosa. Che una volta, anni fa, il dentista mi ha fatto un'anestesia e ha iniziato a trapanarmi il dente, ma il mio metabolismo si è bevuto l'anestesia così in fretta che è finita a metà dell'operazione. Ho sentito il trapano entrare nei nervi di tutto il corpo, metallo e carne. Come lavarsi i denti con una motosega.

Il dentista mi dice che non è niente. Che in realtà è solo il tartaro, i denti sono a posto. Poi mi guarda e con aria stanca aggiunge che le gengive sono rovinate, che il tartaro è su tutti i denti anche se sfrego con tanta forza. Io gli chiedo come fa a sapere che sfrego con tanta forza e allora lui scuote la testa. Come nei film quando uno deve dare una risposta ovvia, così la scuote, come un dannato professore deluso dal suo studente più brillante, quello che un giorno poi. Scuote la testa come Marlon Brando a ripetere l'orrore l'orrore e dice che lo fanno tutti. Sfregano con tanta forza e non serve a niente. Stanno lì con i loro spazzolini, davanti allo specchio del bagno, a sfregare come se fossero ancora a scuola a cancellare con la gomma sul foglio protocollo. Ma non serve a niente. Non serve perché lo fanno nel modo sbagliato.

Ed è lì che ho pensato. Lo facciamo sempre. Lo facciamo con tutto. E lo facciamo sapendo che è sbagliato, fregandocene il cazzo che non funzioni. Sfreghiamo con tutte le forze i denti della nostra vita e non c'è modo, nessun modo di imparare a non farlo. Non c'è modo di convincerci che non abbiamo cambiato niente, che non abbiamo cancellato la parola scritta a penna sul foglio protocollo anche se l'abbiamo bucato a furia di sfregare. Che non abbiamo cancellato l'errore che continuiamo a commettere e che continua a fare male, che non abbiamo cancellato gli sbagli che ci ingoiano giorno dopo giorno, abituandoci, che non abbiamo cancellato le paure che ci bloccano fermi lì, a non fare nulla, che non abbiamo cancellato un accidenti di niente.

Eppure è così facile. Eppure ce l'hanno spiegato tante volte come si fa. Un dente alla volta.
Un dente alla volta.

sabato 16 novembre 2013

Stoker (ovvero le sceneggiature)

Un altro post prima di un anno? Sul serio?

Stoker è il film di Park Chan-Wook - quello della trilogia della vendetta, quello di Oldboy e di Simpathy for Lady Vengeance. Quello che a un certo punto fa un'inquadratura dei capelli di Nicole Kidman e i capelli poi diventano l'erba in un campo dove la piccola Stoker sta sdraiata con il papà pronta a sparare agli uccelli. E che mette la gente sulle scale come Hitchcock.

spoiler spoiler spoiler

Ora. A parte quella scena e le inquadrature che figata (ce ne sono alcune che aprono la mente, sul serio) e i titoli di testa che entrano nell'ombra della gonna che si solleva di lei e lo spruzzo di sangue sui fiori bianchi, il film è di una inutilità sconvolgente. Dal punto di vista della sceneggiatura, almeno. Non sto discutendo della bellezza estetica, della regia o del montaggio, né della fotografia o degli attori. Parlo della storia e di come la storia viene raccontata attraverso le parole. E parlo del senso. Difficile separare questo aspetto dal resto, lo so, ma visto che sceneggiare è il mio lavoro lo faccio. Non parlerò del film nel suo insieme, ma solo della sua scrittura. Il modo in cui la storia e la sceneggiatura veicolano il senso di Stoker non funziona. Fa a pugni con la regia quasi in ogni scena, catapultando lo spettatore fuori dallo schermo, a casa sua, con i problemi di tutti i giorni che con un film così, con qualsiasi film, non dovrebbero avere a che fare fino al buio alla fine.

In Stoker succede un mucchio di roba che puoi capire dal primo minuto. C'è uno zio strano e inquietante che sembra un serial killer, ehi è un serial killer. Mi sa che ha ucciso la governante e l'ha messa nel freezer, ehi c'è la governante morta nel freezer. Lo zio guarda la nipotina come se volesse scoparsela e lei si eccita, ehi dopo praticamente scopano mentre suonano un pianoforte. Mi sa che lo zio ha ucciso il padre, ehi lo zio ha ucciso il padre. Mi sa che la mamma farà una brutta fine, però dai la figlia non può davvero permetterlo, ehi la mamma sta per fare una brutta fine, ma la figlia la salva all'ultimo momento con un fucile - che le abbiamo visto usare solo nei flashback, giusto per dire che sa sparare (ciao Zemeckis delle Verità Nascoste e delle banalità esposte). Avete visto Dexter? Se sì urlerete di fronte al flashback. Che poi, lo sceneggiatore (che come attore mi sta pure simpatico, visto che è quello di Prison Break) fa intuire che lo zio Charlie e India siano una specie di "esseri assassini", "stoker" appunto, ma che non sono affatto vampiri. Volete sapere la verità? Se fossero stati vampiri, una specie di vampiri, sarebbe stato meglio. Molto meglio. Gli esseri che non hanno caratteristiche vere, concrete e definibili, non esistono per lo spettatore. Puoi anche non usare vampiri, zombie o golem, ma devi darmi qualcosa a cui attaccarmi. Qualcosa da riconoscere in loro. Dammi un minimo di mitologia, orco mondo, se no penso che non è così - penso che quelle non siano creature ma persone normali con istinti assassini.

Poi c'è questa cosa che sembra giustificare tutto: la tensione emotiva usata per coprire i comportamenti di personaggi che non sanno perché fanno le cose che fanno. Lo dicevano anche di Panic Room all'epoca, ma non era vero. Panic Room aveva tematizzato la regia, questo sì, rendendola parte dell'effetto globale, mezzo fondamentale e significante per trasmettere il senso del film. Ma lì la storia c'era, era solida - poteva piacere o non piacere, ma sta di fatto che era fatta bene e se ne stava al posto suo, sullo sfondo. Qui la storia crea problemi, non è zitta. Non è nemmeno una sceneggiatura emotiva, che conta sull'astrazione o sul linguaggio irrazionale e istintivo come fa Lynch. Qui la sceneggiatura è una brutta via di mezzo. E basta.

La questione è. Stoker è scritto male. Malissimo. Ed è ancora peggio perché sembra che non lo sia. Le immagini sono così belle, gli attori così bravi (almeno India e la madre) che sembra un film bellissimo, ti inganna, ti frega da quanto la superficie è splendida. Ma non ci sono punti di svolta, non ci sono momenti di vera sorpresa, la storia non va da nessuna parte, non fa domande e non dà risposte. Non ti inquieta e non ti sorprende. Non c'è ma dà fastidio. I personaggi agiscono senza sapere perché agiscono. Capiamoci, non sono IO spettatore che non lo so, questo potrebbe anche andare bene, il fatto è che sono LORO a non saperlo e la cosa, all'interno della storia, crea intoppi quasi in ogni scena. E allora vedi il regista spuntare dallo schermo con le palline rosse per distrarre tutti. Bravissimo, eh, ma è uno spreco di senso e di sforzo. Un peccato. Stoker non ti comunica nulla e non ti intrattiene nemmeno. Ha la profondità filosofica di Arma Letale e la velocità d'azione di uno Tsai Ming Liang (tipo il Fiume). Tutto sbagliato. Lavorando in un mondo vagamente collegato al cinema americano posso solo immaginare quante volte al povero sceneggiatore abbiano rivisto, corretto, rovinato lo script, obbligandolo a inserire scene senza senso. Gente incompetente che occupa posti che non merita. Succede, non sempre, ma capita. Va bene. Va bene tutto. Ma non possiamo accettarlo. So che suono un po' esagerato, ma io credo davvero che dovremmo tutti piantarla. Viviamo in un mondo che ha abbassato l'asticella, non prendiamoci in giro. Culturalmente siamo un passo indietro rispetto a ieri, e per ieri intendo proprio ieri. Possiamo per favore ricominciare a definire brutte le cose? Non è difficile. Non è tanto spaventoso. Con le persone ci viene facile. Vedi una ragazza o un ragazzo brutto e lo pensi e lo dici e magari ci scherzi pure sopra. Perché con altre cose ci risulta tanto faticoso? Basta pensare alla merda. Vi piace la merda? La mangereste una pizza alla merda? A meno di patologie particolari o che siate un cane, credo proprio di no. E nemmeno una pizza con il pomodoro andato a male o con la mozzarella acida. E allora perché non siamo più capaci di riconoscere una storia fatta male? Forse non lo siamo mai stati, non sui grandi numeri ok (se no il marinismo non sarebbe mai esistito) però almeno noi. Almeno noi che ci viviamo di queste cose, invece che i programmi di cucina con i cuochi pazzi possiamo auspicare, applaudire, fare un programma in cui qualcuno mena forte sulle storie scritte male? Ma tipo che poi magari, forse, i produttori/editori si accorgono che una storia bella è meglio di una brutta. Non sempre eh. Va benissimo Checco Zalone. Va benissimo perché se no le case produttrici non esisterebbero. Però se poi devi investire i soldi che fai con Zalone invece che su un mini-Zalone (o peggio) magari li investi su qualcosa di meglio. Su una storia bella e scritta bene.

Una volta McKee ha detto che in vita sua ha letto migliaia di sceneggiature con una brutta storia scritte bene, ma non ha mai letto una sceneggiatura con una bella storia scritta male. Secondo lui è impossibile. Chissà se ha ragione.

lunedì 11 novembre 2013

It's Time to Breakout (ovvero Lucca e i fumetti)

Sì lo so, Lucca è finita da più di una settimana, ma abbiate pazienza io sono vecchio e lento. 
(tra l'altro è tipo un anno che non scrivo su questo blog - ma mi mancava la neve e ho intenzione di fare arrivare una tormenta)
(poi meglio tardi che mai, no?)

Io a Lucca ci sono stato un giorno solo, schiacciato fra la folla e l'umidità, ma non ho assolutamente niente di cui lamentarmi. Anzi. Io quando vedo i cosplayer mi commuovo e sono felice e per me fa parte di un tutt'uno - quelli intellettuali che comprano solo fumetti pensierosi (io sono uno di quelli che comprano fumetti pensierosi quindi non mi rompete) e quelli vestiti da Principessa Disney che non comprano niente ma a loro modo rendono Lucca quello che è. Odiatemi pure, ma credo che senza di loro Lucca non sarebbe Lucca e tutti, compresi noi autori, ne avremmo da perdere.

Vabbè la faccio breve. A Lucca c'erano i fumetti. Un sacco di fumetti. Fumetti italiani. E per me che ci vivo - letteralmente - di fumetti è stato bellissimo vederlo. Cosa che a San Diego non succede perché a San Diego dei fumetti ci sono solo gli echi - e magari gli autori quelli sì. Insomma tanti fumetti nuovi, tantissimi. E non ho potuto comprare molto, ma quello che ho comprato ne è valso la pena. Come il Corpicino di Tuono Pettinato che non ho ancora letto, ma non vedo l'ora. 



Poi ci sono loro, i tipi di Dr. Ink. Hanno fatto un magazine a fumetti e illustrazioni che si chiama Badass ed è una specie di manuale per diventare tipi tosti e prendere a calci in culo il prossimo invece che farsi prendere a calci in culo dalla vita. La cosa, ovviamente, è provocatoria e non ho intenzione di discutere qui del suo senso né della promozione fatta - quella delle palestre Breakout che ad alcuni ha dato del fastidio a me invece ha divertito (ne parla l'amico Joe Salati qui). Insomma perché ne parlo? Perché io quando vedo qualcuno che ci prova, ci prova davvero, e fa cose belle allora devo parlarne. Dentro a questo Magazine ci sono i disegni che si animano con i fogli di acetato, ci sono le pagine che si aprono come quando eravamo piccoli e un poster con dietro gli sketches e le matite, c'è la tessera della palestra, ci sono i test e pure l'oroscopo, ci sono anche le interviste (a me quella del Pinguino è piaciuta un botto). Il design diventa contenuto qui, la forma si fa significato. Dico sul serio. Per questo credo che sia un lavoro bellissimo. 

E non vedo l'ora di scoprire che cosa si inventeranno l'anno prossimo. Dr. Ink per me è diventato un appuntamento fisso, immancabile. Hanno cominciato con il manuale per allevare un Robottone - geniale. Poi il manuale per diventare una Divinità e iniziare una religion e ora Badass. Sul serio, è come una serie TV con una puntata all'anno. Voglio la prossima stagione, voglio il prossimo episodio e vorrei saperlo prima, ma invece no. Voglio farmi sorprendere da loro. Succede così di rado in questo mondo che non puoi non essere estasiato quando accade.


Non sono sicuro di come fate a procurarvelo se non eravate a Lucca, ma forse lo potete chiedere direttamente a loro: